Quando si parla di storia degli Alpini, l’immaginario collettivo guarda subito ad Est: al fronte con l’Austria nella Prima Guerra Mondiale, alla guerra nei Balcani e alla ritirata di Russia nella Seconda Guerra Mondiale. Qualcuno ricorda anche le campagne d’Africa, in Etiopia e in Libia; quasi nessuno la campagna di Francia del 1940, forse anche perché agli Alpini, soprattutto a quelli piemontesi, deve risultare particolarmente ripugnante. Non è nello stile degli Alpini aggredire un vicino già sconfitto alle spalle.

In realtà, tuttavia, gli Alpini nascono con lo sguardo rivolto principalmente ad Ovest, e le loro lontane origini possono essere fatte risalire ben al di là del Regio Decreto del 15 ottobre 1872, firmato da Vittorio Emanuele II: proporrei la fine di maggio del 1690. In altre parole, gli Alpini, anche se con un altro nome, c’erano già stati ed erano stati dimenticati: bisognava solo ricostituirli. In questa nota e nelle successive di approfondimento cercherò di argomentare questa ipotesi, che, come vedremo, probabilmente era già stata formulata nelle mente del capitano di Stato Maggiore Perrucchetti, fondatore con il generale Ricotti-Magnani dei Reparti Alpini.

La formazione dei Reparti Alpini, non ancora un Corpo, data la riduzione del bilancio della Guerra, si inserisce nella più ampia riforma, o serie di riforme, portate avanti dal generale Ricotti-Magnani, Ministro della Guerra dal 1870 al 1876. Le forze armate italiane abbandonavano in questo modo il cosiddetto “modello francese”, fondato su un esercito di soldati di mestiere a ferma lunga (5-8 anni), a favore del “modello prussiano”, fondato su un esercito a ferma breve (2 anni) a reclutamento obbligatorio e su base regionale, che permetteva una superiorità numerica in caso di mobilitazione e una maggior coesione interna dei reggimenti. La superiorità di questo modello era stata ampiamente dimostrato dalle sconfitte austriache e francesi ad opera dei Prussiani, rispettivamente nel 1866 e nel 1870. Bisogna osservare tuttavia che il modello organizzativo italiano era in realtà solo parzialmente prussiano, in quanto manteneva il reclutamento su base nazionale per avere maggiori garanzie di poter utilizzare l’esercito nel mantenimento dell’ordine pubblico.

L’altra grande novità della Riforma Ricotti consisteva nel cambio di impostazione strategica in caso di invasione del Paese. Si veniva progressivamente indebolendo la convinzione che il nemico dovesse essere arrestato, e possibilmente cacciato, una volta che fosse giunto nella Pianura Padana, mentre le fortificazioni nelle vallate dovevano limitarsi a rallentarne l’avanzata; prendeva invece piede l’idea che l’invasore potesse essere bloccato, o comunque a lungo contenuto ed indebolito, sui valichi. Poteva sembrare, e da un certo punto di vista lo era, un’innovazione strategica, ma cos’altro aveva fatto per quasi due secoli il Ducato di Savoia-Piemonte e successivamente il Regno di Sardegna-Piemonte? Tra i grandi fatti d’arme dell’epopea di questo Stato, oltre all’assedio di Torino del 1706, troviamo infatti le due battaglie di Casteldelfino del 1743 e la battaglia del colle dell’Assietta del 1747, la prima subito al di qua del Colle dell’Agnello contro i Franco-spagnoli (o gallo-ispanici, nel linguaggio d’allora), la seconda dopo che i Francesi avevano superato il passo del Monginevro.

Ma torniamo alla Riforma Ricotti. A chi si pensava quando si parlava di invasore da fermare ai valichi? Agli Austro-Ungarici ovviamente, ma di valichi in comune con loro a quel tempo non ce n’erano molti, ma soprattutto ai Francesi, con i quali i rapporti non erano più così fraterni come nel 1859. A riprova di questo, se controlliamo dove erano dislocate le prime quindici compagnie alpine a reclutamento locale, che come ho già detto non costituivano ancora un Corpo a sé, ma solo una ristrutturazione dei distretti militari, nove fronteggiavano la Francia, tre la Svizzera e tre l’Austria. Non a caso la Francia vide con preoccupazione la formazione di queste nuove truppe specializzate nel combattimento di montagna: nel 1888 seguì l’esempio con la formazione degli Chasseurs Alpins, da impiegare sui valichi che s’affacciano sul Piemonte. Del resto, come sul versante piemontese delle Alpi troviamo una catena di fortezze alpine, tra le quali Vinadio, Fenestrelle, Exilles e Bard, sul versante francese troviamo Briançon e Mont-Dauphin. Non ci vuol molto a capire dove si è fatta per lungo tempo la guerra sulle Alpi. Che poi gli Alpini sul fronte francese siano stati impegnati solo una volta nella sciagurata avventura mussoliniana del 1940 e che la loro prima azione bellica sia avvenuta nell’altrettanto sciagurata avventura crispina in Etiopia, nulla toglie a dove si guardasse al momento della loro formazione.

Abbiamo quindi dimostrato la prima parte della nostra ipotesi, che comunque illustreremo più in dettaglio nelle puntate successive, quando analizzeremo le battaglie di Casteldelfino e dell’Assietta ed evidenzieremo le somiglianze con la guerra sulle Alpi Orientali condotta più di un secolo e mezzo dopo. Ma perché risalire proprio alla fine di maggio del 1690 per trovare i progenitori degli Alpini? Questo alla prossima puntata.

Silvio Goglio 

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