Alle origini delle truppe alpine

(seconda parte)

Tra il 1688 ed il 1697 si combatté la guerra della lega di Augusta (detta anche della Grande Alleanza, o dei Nove Anni, o di Successione del Palatinato). Sostanzialmente essa vedeva una larga coalizione, guidata da Leopoldo I d’Asburgo e Guglielmo III d’Orange (Statolder delle Province Unite, divenuto con la Gloriosa Rivoluzione del 1688 anche re d’Inghilterra), opporsi all’espansionismo della Francia di Luigi XIV. Fra i molti stati coinvolti c’erano la Spagna, la Svezia e vari principati tedeschi. Questa guerra offerse al giovane Duca di Savoia Vittorio Amedeo II l’occasione per cercare di sottrarsi al pesante controllo francese. Decisione non facile, data la massiccia presenza dei Francesi in Piemonte, che occupavano tra l’altro l’imponente fortezza di Pinerolo allo sbocco della Val Chisone che porta al passo del Monginevro, nonché, nella stessa valle, i due forti Mutin e di Fenestrelle, all’epoca di dimensioni molto più modeste rispetto ai rifacimenti successivi. La guerra non andò molto bene per il Duca, che fu costretto ad una pace separata nel 1796 (Trattato di Torino) ed a rientrare nell’alleanza con i Francesi.

Quello che interessa a noi, tuttavia, è ciò che accadde a fine maggio 1690. Rendendosi conto dell’importanza del controllo dei valichi e delle difficoltà che si potevano creare ad un nemico molto più forte con una guerriglia in alta montagna che operasse sulle linee di comunicazione e rifornimento, Vittorio Amedeo pensò di appoggiarsi a delle milizie territoriali, e non dovette faticare molto a trovarle, praticamente già organizzate e più che motivate. Per capire questo, dobbiamo parlare dei Valdesi e della loro storia.

Il Valdismo è una confessione nata nel XII secolo come movimento cristiano laico costituito da contadini e in genere da poveri. Debitamente scomunicati, repressi e perseguitati, riuscirono a sopravvivere in zone periferiche ed emarginate, ed aderirono alla Riforma protestante calvinista nel 1532. In Piemonte la Pace di Cavour (dal nome della cittadina) del 1561, uno dei primi documenti ufficiali concedenti una libertà religiosa nella storia europea occidentale, garantiva loro un rifugio/ghetto costituito dalle Valli del Pellice, della Germanasca e del Chisone. Solo in questa area poteva essere professata pubblicamente la religione riformata. Tuttavia, dopo vicende altalenanti di tolleranza e repressione, sotto la pressione di Luigi XIV, che aveva revocato l’Editto di tolleranza di Nantes, anche la Pace di Cavour venne revocata nel 1686, dando luogo ad un brutale processo di cattolicizzazione forzata, condotto più “distrattamente” da truppe piemontesi, ma soprattutto da quelle francesi. Ne seguì l’espatrio in Svizzera di molti valdesi. Al quale seguì, dopo il capovolgimento di alleanze che portò alla rottura della coalizione franco-piemontese e al passaggio di Vittorio Amedeo II nella Lega di Augusta a fianco di Inghilterra e Paesi Bassi, il cosiddetto “Glorioso Rimpatrio” nelle alte vallate piemontesi, favorito da un nuovo Editto di tolleranza. Questo tra le irate proteste di papa Innocenzo XII; ma Vittorio Amedeo aveva deciso che la difesa della “vera fede” gli premeva molto meno della difesa dei valichi.

Infatti a fine maggio 1690, ed ancora ad agosto dello stesso anno, il Duca chiese formalmente ai Valdesi di combattere lealmente con lui nella difesa dei confini contro i Francesi, estendendo una lotta che essi avevano già condotto negli anni precedenti. Quello che interessa a noi è l’organizzazione di queste milizie, operative praticamente fino alle guerre napoleoniche. Erano strutturate per compagnie franche di una cinquantina di uomini, agli ordini di un capitano, o di un tenente, e di un sergente scelti ed eletti per capacità e valore; i militi di ogni compagnia appartenevano alla medesima parrocchia: si trattava quindi di unità disciplinate, omogenee, istruite, con una profonda conoscenza del terreno su entrambi i versanti dei monti, con un continuo allenamento alla vita ed al combattimento in montagna. Quanto alla loro determinazione nel combattere i Francesi, non era il caso di avere dubbi. La loro consistenza, inizialmente di 1.400 uomini, crebbe ben presto ad alcune migliaia, grazie all’affluire di protestanti francesi, utili quando le azioni di guerra verranno portate al di là del confine. Alla loro testa vi erano un colonnello ed un maggiore, nominati dal Duca, ma scelti tra i leader morali della comunità; avevano una loro bandiera, bianca con stelle azzurre, ed un loro motto, Patientia laesa fit furor (prendo queste informazioni, come altre che seguiranno, dall’opuscolo Le milizie valdesi al XVIII secolo del 1947 di A. A. Hugon). Da non trascurarsi, viste le condizioni delle casse ducali, il fatto che si reggevano in misura significativa con l’autofinanziamento, a spese dei Francesi. Del resto era una pratica diffusa dei montanari piemontesi, per alleviare le magre condizioni di vita, quella di far sparire gli ufficiali francesi trovati isolati … e la loro borsa.

Confrontiamo ora questa organizzazione con i principi contenuti nello studio Considerazioni su la difesa di alcuni valichi alpini e proposta di un ordinamento militare territoriale della zona alpina, presentato dal capitano Perrucchetti nell’autunno del 1871 e pubblicato sulla Rivista Militare del maggio 1872. La difesa delle Alpi doveva essere affidata a reparti di montanari, usi alla guerra di montagna e pratici dei luoghi; questi reparti dovevano essere destinati esclusivamente alla difesa dei valichi alpini e organizzati in distretti prossimi alle frontiere; nella stessa compagnia andavano riuniti individui provenienti dalla stessa vallata e la compagnia andava stanziata nella valle stessa; i comandanti di distretto dovevano essere contemporaneamente i responsabili della difesa; gli ufficiali andavano reclutati nelle stesse vallate alpine e legati per tutta la carriera ai luoghi da difendere. Un complesso di elementi che, unito alle condizioni tattiche, strategiche e logistiche delle Alpi, potevano creare secondo l’autore “un baluardo invidiato da tutte le potenze”: in altre parole, un “Di qui non si passa”. Il parallelismo tra quanto proposto da Perrucchetti e l’organizzazione delle Milizie Valdesi non ci deve stupire, se ricordiamo che Perrucchetti, oltre che appassionato di montagna, era un attento studioso delle operazioni belliche condotte nei secoli precedenti in montagna, e non aveva molta scelta sul dove rintracciare tali operazioni.

Ad alcuni può forse sembrare bizzarro questo percorso a ritroso per rintracciare così lontano nel tempo le origini delle truppe alpine. Tuttavia, se gloriosi reggimenti di cavalleria, quali Genova, Nizza, Piemonte, Savoia si vantano di discendere, non sempre con continuità, dai dragoni di Verrua, Macello, Cavaglià, Mombrison, fondati, sempre da Vittorio Amedeo II, rispettivamente nel 1683, 1690, 1691, 1692, non vedo perché gli Alpini non debbano far notare, più discretamente, come è nel loro stile, che lo stesso Duca negli stessi anni fondava le milizie alpine, con i medesimi principi tattici ed organizzativi che presiederanno l’istituzione degli Alpini. Milizie che combatterono, come vedremo nella prossima parte, altrettanto valorosamente dei brillanti dragoni.

Silvio Goglio